Cosa fa una donna matura tutta sola in casa? Il marito è fuori per lavoro e lei passa le serate sola soletta.
Racconto erotico di fantasia
L’orologio segnava le sette. Era scoccata l’ora X. Abbandonai i libri e corsi alla finestra, al diavolo l’esame. Era novembre e a quell’ora era buio pesto. All’epoca vivevo con i miei e frequentavo l’università pubblica in città. Durante la settimana, ogni sera, lei rincasava sempre alle sette. Presi il binocolo, spensi le luci e attesi impaziente. Con la solita puntualità, la casa di fronte si accese. Dapprima nell’ingresso, poi in soggiorno. Potevo seguire i suoi spostamenti nell’ombra e godermi lo spettacolo senza pagare il biglietto. Ormai conoscevo a memoria il rituale, ma non mi stancavo mai di guardarlo. La osservai mentre appendeva l’impermeabile all’attaccapanni, di solito sotto indossava un tailleur elegante, una camicetta in tessuto leggero che metteva in evidenza i seni procaci o una gonna che le stringeva i fianchi, scivolando come un guanto sulle sue curve generose. Il marito arrivava sempre tardi, restava a lavoro fino alle otto, talvolta anche alle nove. Spesso, poi, era via per lavoro, restava fuori casa anche tutta la settimana. Lei si consolava con un bicchiere di vino. Quella sera il suo partner non sarebbe tornato. Oh, quanto avrei voluto alleviargli quel senso di solitudine che le pesava dentro. Ma era solo la mia immaginazione a parlare. La verità è che io e la signora Duprè non ci eravamo mai rivolti la parola. Tutt’al più un cenno di saluto quelle rare volte che ci eravamo incrociati. Regole di buon vicinato. Però io la conoscevo, sapevo ogni cosa di lei. A forza di osservarla avevo imparato le sue abitudini e i suoi gusti. Sapevo che le piacevano il vino rosso e i porno. Che quando suo marito non c’era, si masturbava davanti alla televisione toccandosi con lentezza e abbandonandosi al piacere. Sapevo che il giovedì, usciva con le amiche, la venivano a prendere sotto casa.
La signora Duprè aveva un’età indefinita tra i trentacinque e i quarant’anni, nessun figlio, e il viso e il corpo ancora giovani, anche se ormai avevano perso l’innocenza da ragazzina innocente. Quella sera portava i capelli castani sciolti, che le cadevano morbidi sulle spalle, un rossetto rosso appena un po’ sbavato e una camicia che lasciava intravedere il reggiseno in pizzo. Con il binocolo riuscivo a vederla come se fosse stata ad un metro da me. Sentii il battito del cuore accelerare. Ogni volta la stessa storia, non riuscivo ad abituarmi a certe emozioni. Mi eccitavo solo a vederla, così mezza svestita. Si versò del vino, bevve un sorso dal bicchiere e lo poggiò sul tavolo. “È l’ora del bagno”, pensai, sbottonandomi i pantaloni, e, infatti, come se fosse scattato un timer nella sua testa, abbandonò il salotto e salì le scale. La camera da letto si illuminò e la guardai spogliarsi. Via la camicetta, via la gonna e le calze. Portava un completo di pizzo bianco, con un reggiseno a balconcino che le faceva rimbalzare le tette in avanti come due mele sode. Con estrema lentezza si liberò anche della biancheria, rimase nuda e liscia. Spasimavo per sprofondare in quel ventre.
Rimasi ad aspettarla mentre si rilassava tra candide bollicine. Nemmeno mi accorsi delle urla che mia madre mandava dal piano di sotto per informarmi che era pronta la cena. Riluttante scesi, abbandonandola nella vasca idromassaggio. Ingurgitai la cena più velocemente possibile, con la scusa che dovevo ancora studiare e ritornai di sopra con qualche foglia di insalata ancora tra i denti. Lei era tornata in salotto e si era messa guardare un porno. Aveva aperto le gambe appoggiando i piedi sul tavolino e aveva preso a masturbarsi. Io feci lo stesso… continua.
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